CHE NE PENSIAMO:
– Un capolavoro.
QUALCHE PAROLA (A CALDO):
Difficilmente in poche parole riusciremo a render conto di quanto il film di Joseph Losey, The Servant, possa essere considerato un capolavoro della cinematografia. Dovremmo forse pensare di fare qualcosa di più simile ad un’analisi che ad una scheda per dare il giusto peso alle dinamiche messe in scena da questo film, ma per questo spazio cercheremo di essere relativamente brevi.
Girato magistralmente (basta tenere d’occhio i movimenti di macchina nella scena del colloquio iniziale, per capire cosa intendiamo) The Servant è un capolavoro surreale che racconta di una certa sterilità borghese (dai caratteri piuttosto infantili), ma anche di una violenza contro di essa, che più che rivoluzionaria è iconografica: sviluppata e letteralmente “messa in scena” da classi subalterne che aspirano, più che al sovvertimento del sistema, ad occupare esattamente le stesse posizioni che vorrebbero scalfire.
Il desiderio mimetico.
Per un aggancio teorico molto interessante per capire le dinamiche di potere, ma principalmente del desiderio (omoerotico in alcune delle sue dinamiche) che sono insite nel film è utile rivolgere l’attenzione alla teoria del desiderio mimetico messa a punto sul finire degli anni ’50 da René Girard.
Brevemente, “l’ipotesi girardiana si basa sull’esistenza di un terzo elemento, mediatore del desiderio, che è l’Altro. È perché l’Altro – preso come modello – che desidera un oggetto (concepito come una cosa che l’Altro possiede e che al soggetto manca) che il soggetto comincia a desiderarlo egli stesso, e d’altra parte l’oggetto acquista valore soltanto perché è desiderato da un Altro.[…].
Il desiderio che ha il soggetto per l’oggetto non è nient’altro che il desiderio che egli ha del prestigio – da egli stesso assegnato – a colui che possiede l’oggetto (o che si pone a desiderare contemporaneamente a lui l’oggetto). […]” (tratto da La Frusta Letteraria).
Questo concetto è fruttosamente messo in scena dal regista e con lui anche dal personaggio di Hugo (Dirk Bogarde) nella figura e nelle manipolazioni della sorella/amante. Ma anche, socialmente più densa come sfumatura, il desiderio di Hugo di vivere una vita esattamente come quella del “padrone”.
Infatti (ancora dal sito citato sopra) “quando l’allievo (soggetto) dispone delle stesse conoscenze (oggetto) del maestro (mediatore), non c’è certamente più né maestro né allievo ma due persone che possiedono la stessa conoscenza: la gerarchia iniziale che permetteva di situare uno e l’altro nel mondo, uno rispetto all’altro nella loro relazione, è abolita. Il modello (mediatore) avverte il pericolo che può presentare per lui questa confusione […]. Ma più i rivali mimetici sono vicini e tentano di differenziarsi tanto più finiscono per somigliarsi. Sono visibili in questa argomentazione gli echi della “dialettica servo-padrone” e della nozione di “coscienza infelice” elaborati da Hegel nella Fenomenologia dello Spirito e da Girard apertamente richiamati.”.
In effetti, il finale del film disegna un panorama abbastanza umiliante e degradante con uno schiacciamento delle personalità e una inversione di ruoli e permette alla pellicola di raggiungere finanche una posizione nichilistica che disegna uno scenario dell’animo umano e della società decisamente apocalittico.
PRO:
- La recitazione.
- La messa in scena.
- I movimenti di macchina.
- Il carattere surreale.
- Echi della cinematografia di Luis Buñuel.
CONTRO:
- Ne avete trovato qualcuno? Fateci sapere!
Che ne pensi di questo film? Lascia un commento sotto e parliamone.
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