Wes Anderson – The French Dispatch (2021)
- L’uso di un’enormità incredibile di formati e medium diversi (pellicola, digitale, animazione, testi, ecc.).
- Un film corale dalla struttura più unica che rara.
- Un continuo rimando ad altro cinema e ad altre immagini in un contenitore assolutamente gioioso, attento e delicato.
- Wes Anderson dà l’impressione di aver raggiunto un punto della sua carriera in cui si sente in diritto di far quel che gli passa per la testa.
- Poco e niente.
Ne consigliamo la visione?
Assolutamente sì!
Due parole sul film.
Iniziamo dal dire che erano anni che non si vedeva una struttura narrativa così che si astiene completamente dall’affrontare una linea di plot centrale (il film è in qualche modo circolare – ma senza la colonna vertebrale che guida lo spettatore all’interno della narrazione) in un film mainstream americano. Il risultato qual è? Un film che possiede le caratteristiche di un magazine, di una lettura di sezioni e parti più piccole che giocoforza restituiscono un insieme proprio nella loro diversità. Se altri possono vedere un limite nell’assenza della “bussola” per lo spettatore, noi lo vediamo come un punto di forza.
Infatti, laddove Grand Budapest Hotel si reggeva sulla scoperta di Gustave H e di Zero Moustafa e questo legava le parti in maniera logica, in The French Dispatch il “personaggio” nascosto è Ennui, un luogo sia fisico che simbolico. Un luogo che diventa magico, irrealistico e fantasioso e che però restituisce uno sguardo avvolgente sull’umanità. Il film cerca di fare proprio questo, tramite l’astrazione del plot centrale – invitare lo spettatore a cercare in profondità (seppur in pieno bombardamento post-moderno di immagini), piuttosto che seguire una linea e aggrapparsi a essa. Bellissimo inoltre l’omaggio – in terra francese – a Jacques Tati in una delle sequenze iniziali che vede il ragazzo del bar quasi scalare il palazzo degli uffici del magazine.
Come al solito, le dinamiche tra gli attori sono eccellenti, aiutate da un montaggio frizzante e vitale e con The French Dispatch, Anderson raggiunge una quasi paradossale perfezione del suo linguaggio: non solo le immagini sono bellissime quasi da far invidia, ma tutto funziona perfettamente e anche le scelte sulla carta più ostiche (passaggio da 4:3 bianco e nero a panoramico a colori per mostrare il blu degli occhi di Saoirse Ronan) sono rese con una semplicità e gentilezza tali da amalgarsi perfettamente con il resto, nonostante l’evidente contrasto. Questa è una dinamica così complessa da creare, ma che risulta così logica nella mente dello spettatore – e che quindi non sembra un’imposizione di regia – che fa capire bene il valore della messa in scena e la maturità linguistica ormai raggiunta da Anderson.
“Allora, lo guardo o non lo guardo?”
Beh, adesso sai cosa ne pensiamo noi, ma se sei ancora indeciso, dai un’occhiata al trailer per decidere da te se guardarlo o meno.
Ora, se sei convinto, non ti resta che guardarlo, oppure se l’hai già visto e hai qualcosa da dire riguardo questo film, lascia un commento alla fine della pagina ed esprimi tutto quello che vuoi riguardo la pellicola. Su questo sito, siamo sempre contenti di ospitare opinioni altrui sul cinema e perché no, aprire un dibattito se non sei d’accordo con noi.
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