Yorgos Lanthimos – Povero Creature (2023, Poor Things)
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Ne consigliamo la visione?
Decisamente.
Due parole sul film.
“Povere Creature” (Poor Things) è un film disturbante.
È un film disturbante perché prende dei tropi, li smonta e li rimonta proprio come il personaggio Godwin Baxter (Willem Dafoe) fa con i suoi animali. Questo atteggiamento permea ogni aspetto della pellicola, sottraendo allo spettatore un certo grado di riconoscibilità che potrebbe confortarlo. A titolo di esempio, l’allergia dimostrata dalla regia (Yorgos Lanthimos) alle immagini copertina facilmente riproponibili dei luoghi esplorati da Bella (Emma Stone): nessuna delle città è proposta nella sua canonica immagine da cartolina, ma viene presa in una sua caratteristica, rimontata e spinta al massimo (la luce per Lisbona, la claustrofobia bohémien per Parigi).
È disturbante perché riesce a essere grottesco, ma allo stesso tempo surreale (accarezzando Luis Buñuel). O anche perché riesce ad avere momenti comici e inaspettati schiaffi drammatici (il discorso sulle classe sociali). È disturbante perché a tratti offre l’esperienza di un trip, una percezione visiva rotonda che richiama il makeup che Emma Stone indossa durante il film e che sembra quasi aumentare la misura dei suoi occhi grandi e tondi, come se fossero dei grandangoli aperti sul palcoscenico del mondo – un mondo che offre distorsioni percettive in ogni angolo.
È disturbante perché non permette mai allo spettatore di adagiarsi su nessuno dei temi che affronta: non appena sembra entrare in quello che può essere visto come il nucleo centrale, slitta verso un nuovo lido – così come Bella fa nella sua avventura – non lasciando indietro, tuttavia, ciò che è stato toccato, ma piuttosto accumulando aspetti sempre nuovi, ampliando la propria valigia tematica.
Tocca il tema dell’ossessione? Certo. Fa un discorso sulla libertà? Chiaro. E il tema della ricerca scientifica? Non si può dire che non ci sia. Si può rintracciare un ragionamento etico? Sì. E la cultura? Presente, soprattutto nel ruolo di inibitore della violenza. Parla del rapporto figlio-genitore? Sì. Parla del rapporto uomo-donna? Anche. Quello donna-donna? Direi di sì. C’è il tema del maschilismo? E quello del femminismo? Entrambi presenti. Dice qualcosa sulla relazione uomo-Dio? Assolutamente sì, se pensiamo che il soprannome del papà (creatore?) di Bella è “God”. E la morte? È presente ovunque (Bella era Victoria Blessington quando decise di lanciarsi da un ponte; la malattia di Godwin Baxter; le parti di corpi umani). L’identità? Chi è Bella: il bambino (a proposito, è un bambino o una bambina?) di Victoria o l’adulto che offre il corpo (genitore!) al cervello infantile? O una terza entità? L’identità è corpo o mente? C’è una differenza o distinzione tra le due?
È disturbante perché riesce a far sentire scomodo lo spettatore anche quando ne solletica l’aspetto voyeuristico: un attimo prima ci viene detto che Bella ha il cervello di un bambino e nella scena successiva la vediamo alle prese con la scoperta del suo sesso: cosa stiamo guardando? Un bambino? Un adulto? Quindi anche il discorso sul corpo e sulla sessualità è disturbante? Non si può dir di no. Ne fa un discorso di genere? Cerca la categorizzazione di questo tema? No, la rifugge con tutte le sue forze. Ed è forse questo il lato il più interessante del film che non si adagia mai su una categoria di pensiero. Laddove una parte delle critiche al film si sofferma sul fatto che è un’opera che rimane in superficie toccando una quantità industriale di temi, senza mai approfondirli, io trovo vero il contrario: la vera profondità del film risulta dalla sua interezza – Bella cresce velocemente e lo fa assorbendo tutto, proprio come un bambino, e i grandangoli usati per tutto il film, in fondo, sembrano raccontare la percezione del bambino stesso che vuole accogliere (e possedere) tutto ciò che è davanti. Inoltre, per tutto il film, Bella Baxter rifugge gabbie e prigioni, così come il film evade dalle categorie di senso e dalle catene interpretative. La “creatura” è il film stesso che, come un bambino, inghiotte, assorbe, rimurgina ed espelle i temi con velocità sorprendente mantenendo sempre un’intensa passione per ciascuno di essi (nelle sequenze iniziali Bella mangia – e a volte sputa – con estremo trasporto). Il film, come Bella, cresce. Proprio per questo motivo riesce ad andare in profondità, poiché riflette l’esperienza di vita intera e acquisisce complessità nella somma delle componenti, preferendo virgole, invece che punti, spazi nell’inquadratura, invece che (solo nei) tagli di montaggio, l’anarchia, invece che la regola.
“Povere Creature” è un film disturbante perché è una scatola il cui funzionamento sembra magico, quasi esoterico. È disturbante nel senso che costringe a pensare e non si lascia attraversare con distrazione. Ma è anche un film divertente. Fa ridere, ma fa anche emozionare. È un film, ma anche dieci film in uno. Unisce, come spesso in Lanthimos, morte e vita, staticità e movimento (i capelli che si allungano come unico elemento di un corpo che invece non segue la crescita della mente), in un gioco di opposti che non si respingono, né si attraggono, ma convivono. “Povere Creature” è tante cose, ma è anche, in sintesi, un ottimo film che spacca il panorama piuttosto uniformato della produzione cinematografica nelle sue dinamiche visive, nelle sue componenti tematiche e nei modi interpretativi soliti.
“Povere Creature” (Poor Things) è un film coraggioso.
“Dove lo trovo?”
Il film è ancora in sala e non è ancora disponibile, in data di pubblicazione, su nessuna piattaforma streaming, ma siccome il panorama degli streaming è in costante mutamento, vi invitiamo a dare un’occhiata a questo link JUSTWATCH che vi dirà dove trovarlo. Se riuscite, non mancatelo in sala, perché ne vale davvero la pena.
“Allora, lo guardo o non lo guardo?”
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