Giovane e bella (tradotto dal francese Jeune & jolie) è un film diretto da François Ozon uscito in Italia il 7 Novembre 2013. Si tratta di un film che intende parlare del rapporto complesso tra adolescenza e sessualità, ma lo fa in maniera blanda più con la volontà di stupire che con l’idea di affermare qualcosa.
Il regista francese decide, per questo film, di tornare alla pellicola 35mm dopo aver utilizzato il digitale per il suo precedente Nella casa (2012) perchè, a detta sua, la preferisce per la gestione della pelle e della resa dell’epidermide (nel digitale, fin troppo iperrealista).
La sceneggiatura
La sceneggiatura è dello stesso Ozon e la pellicola si basa sul passaggio di Isabelle (Marine Vacht) dal mondo dell’adolescenza al mondo adulto (il film va dalla fine dei suoi 16 anni ai 17 anni, con l’estate che si riapproccia alle porte), e si concentra in tal modo e quasi esclusivamente sul suo rapporto con la sua sessualità. Il film inizia con la protagonista in una vacanza estiva con la sua famiglia (il padre è stato sostituito da un patrigno), e lì vive l’occasione di avere la sua prima esperienza sessuale, ma lo fa come se si trattasse di un passaggio necessario. Finite le vacanze e tornata alla normalità, Isabelle comincerà a prostituirsi.
Il testo drammatico lavora più nel senso di togliere risposte alle domande che si pongono gli spettatori, come quella della motivazione per cui Isabelle si prostituisce e lo fa ad esempio quando Georges (Johan Leysen) le chiede se lo fa per la crisi, Isabelle non risponde, ma poi tornata a casa vediamo che mette i soldi in un borsellino (pienissimo di soldi) quasi come se non ne spendesse; il gioco della sceneggiatura è costantemente nel distruggere qualunque ipotesi di motivazione che viene alla mente dello spettatore. Allora allo spettatore non resta che rifuggire nel più antico stereotipo (psicanalitico) del rapporto figlia-padre (assente) e il film improvvisamente si svuota di qualunque interesse. In questo senso va il rapporto con Georges, molto più anziano di lei e la morte rientra quindi nella sua sessualità.
La connessione causale tra la sequenza estiva e il suo prostituirsi (in Autunno) è talmente labile che Ozon ha bisogna di una seconda presentazione del personaggio (girata di spalle, vestita da “adulta”), tanto che noi la riconosciamo come Isabelle solo tramite lo sguardo del suo cliente Georges. E solo tramite uno scambio di sguardi tra lei e la moglie di Georges (Charlotte Rampling) nel finale, che la protagonista sembra accedere ad una nuova maturità, lasciando che sia finalmente lei ad agire lo sguardo, nell’ultima inquadratura, fuori campo.
Lo sguardo
Ed ecco che se c’è un motivo ricorrente nel film sta nella gestione degli sguardi: la prima inquadratura del film è una visione binoculare attraverso la quale il fratello spia la sorella che si denuda in spiaggia. Ed è sempre tramite uno sguardo che spia (ancora del fratello) che Isabelle è colta, qualche giorno prima del suo primo rapporto, a masturbarsi. Girata di spalle anche in questa occasione, Ozon dichiara già dall’inizio che l’identità “sessuale” di Isabelle ci verrà nascosta.
Lo sguardo come motivo ricorrente: Isabelle addirittura durante il suo primo incontro si sdoppia e guarda se stessa al di fuori, Isabelle “esterna” che guarda al rapporto (completamente abbandonando l’attrazione per l’altro da sè). Oppure quando uno dei suoi clienti (Stefano Cassetti, dagli occhi azzurri profondissimi ed inquietanti) la paga per masturbarsi guardandole il corpo nudo, non vuole toccarla. Lo sguardo diventa quindi di nuovo vettore di potere e desiderio.
Un film che non colpisce
Il problema è che non si tratta di niente di nuovo. La dinamica colui che guarda – colui che è guardato non è strutturata in una maniera foriera di nuovi sensi che non siano quelli del voyeur – oggetto desiderato, ed è francamente deludente soprattutto perchè il film all’inizio si faceva carico dell’impossibilità di trovare motivazioni nel suo comportamento anche sul piano visivo (con lei di spalle), ma il resto del film sembra perdere di vista questo punto di negazione visiva per rifugiarsi più comodamente (e oziosamente) nel piacere dello sguardo e del desiderio.