Rob Savage – HOST
– Una prova di carattere per un horror che si sviluppa a partire da quelle che sarebbero potute essere le sue debolezze.
- Il coraggio/incoscienza nell’approcciare un film del genere.
- La tensione indotta dal modo in cui è girato.
- Una scrittura piuttosto semplicistica.
- Niente di nuovo – tematicamente o narrativamente – sotto al sole.
QUALCHE PAROLA (A CALDO):
Host è un film che riesce nella difficile imprese di volgere in positivo degli evidenti elementi complessi nella gestione di riprese. Ambientato proprio di questi tempi, si sviluppa nel periodo del lockdown offrendo quindi al regista e alla sua crew la possibilità di avere anche una logica narrativa dietro la scelta di ambientare tutto il film dentro una web-conference.
Però, nonostante la trovata, il più grosso limite lo si trova proprio dal punto di vista prettamente narrativo. Host si presenta come un film piuttosto banale e che soffre di una penna a tratti un po’ grossolana (come fanno i personaggi a rilassarsi ed anche ridere su quello che è accaduto, intorno ai 3/4 del film?). Abbiamo l’impressione che si è voluto renderlo quasi un instant film che però sacrifica la qualità di scrittura per saltare a piè pari, furbescamente, nel momento attuale e non perdere il suo carattere contemporaneo.
Un punto invece decisamente a favore del film risiede nel fatto che, pur a fronte di una scrittura claudicante, riesce ad incutere un buonissimo grado di tensione che viene giocata tra l’attesa e la sostanziale fermezza del punto di vista (le varie webcam). Sebbene gli attori muovano talvolta la webcam cercando di rendere lo spazio visivo leggermente più dinamico, la sensazione lasciata allo spettatore è quella di una certa distanza che lo rende osservatore (senza nessuna forma di intervento) e che blocca quei processi mentali per i quali generalmente ci sentiamo “inseriti” (brevi cenni a queste dinamiche si possono trovare nelle nostre analisi di The Walk e Shining) in uno spazio all’interno del film.
Si è in tensione, ma principalmente su un piano riflessivo piuttosto che immersivo, perché sappiamo che la maggior parte delle cose avverranno alle spalle dei personaggi (e quindi a favore di camera, piuttosto che dei personaggi stessi) e sono messe lì solo ed esclusivamente per far paura a noi.
Il film fa un gran uso di VFX che, grazie anche alle imperfezioni della qualità delle web-conferences che nascondono la fattura stessa degli effetti (e il relativo carattere low budget), sembrano piuttosto realistici e credibili (ovviamente nei limiti della sospensione dell’incredulità).
Host (film dalla durata piuttosto breve che raggiunge a malapena l’ora) è stato girato in un periodo nel quale la classica produzione cinematografica con la presenza fisica di crew e cast sul set è stata messa in relativa crisi e prende spunto dal fulcro centrale della nostra esperienza di questi tempi per “combattere” questa stessa crisi: la fantasmatica (e socialmente distanziata) conversazione in videochiamata.
Da un punto di vista produttivo, pur non essendo un’opera totalmente originale – film prodotti che si basano sull’idea di web-conferences erano già ampiamente in giro prima di questa pellicola, un esempio su tutti è Searching – indica una via che con ogni probabilità verrà sfruttata esponenzialmente per cercare di far fronte alle limitazioni imposte a causa della pandemia in corso.
In conclusione, Host riesce dunque a trasformare in qualcosa di interessante una difficoltà oggettiva che ha messo in ginocchio molte altre realtà e lo fa riuscendoci in maniera umile, a budget ridotto, ma che raggiunge lo scopo centrale del genere a cui si riferisce: spaventare chi guarda.
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