Gilles Paquet-Brenner – DARK PLACES
– Un film che distrugge quanto di buono c’era nel testo da cui è tratto.
- Onestamente? Poco e niente.
- Modo in cui è diretto e girato.
- La narrazione disintegrata.
- Pigrizia dell’esecuzione.
QUALCHE PAROLA (A CALDO):
Dark Places è un film tratto dal romanzo di Gillian Flynn, autrice conosciuta nel mondo del cinema anche per aver scritto il testo da cui è tratto Gone Girl – di cui abbiamo parlato in occasione della premiere al festival di Roma del 2014. Purtroppo, questo film, contrariamente a Gone Girl, non ci è minimamente piaciuto.
Perchè? Principalmente la più grossa critica che abbiamo da fare nei riguardi di questa pellicola concerne il modo in cui è stato girato: ad esempio, cosa aggiunge quel bianco e nero che accompagna la soggettiva di Libby della notte dell’omicidio? O anche, il movimento costante fatto di macchina a mano e zoom durante alcuni dei dialoghi, cosa comunicano se non un certo senso di gratuità stilistica con il fine di rendere più interessante un linguaggio visivo molto spesso pigro ed appena elementare? Oppure, a cosa serve caratterizzare la macchina con un punto di vista quasi voyeuristico in alcune sequenze (il primo dialogo tra la madre dei bambini e la zia) se poi per il resto del film questa impostazione non trova né una funzione né una spiegazione?
Anche da un punto di vista narrativo, Dark Places mostra i suoi limiti. Nonostante la storia (principalmente per quel che riguarda le parti fedeli al romanzo) sembrerebbe anche reggere, l’adattamento fatto dallo sceneggiatore/regista rende tutto ancor più frazionario: se nel romanzo il costante ondivagare tra presente e passato sembra rappresentare scaglie di memoria e ricostruzione degli eventi che diventano man mano più veloci, brevi e ritmate, nel film, non solo questa accelerazione strutturale viene persa in quanto le scene vengono mantenute relativamente brevi e lasciano lo spettatore disinteressato e quasi annoiato, ma anche lo stesso carattere frammentario sembra quasi basato su un’accozzaglia di momenti diversi e scarsamente bilanciati tra loro e non riesce a stabilire con esattezza il fil rouge che lega il processo di riscoperta.
Un altro elemento che ci sembra rivelare la scarsa fattura del film lo si trova nell’utilizzo della voice over. È voce off, voce che racconta gli avvenimenti, ma all’improvviso anche qualcosa che rivela il reale pensiero di Libby all’interno di una scena. Una confusione totale che rivela un piano registico assolutamente in balia degli eventi e assolutamente non in controllo del materiale.
Un esempio diretto di come la sceneggiatura sia stata affrontata male? La parte finale nella quale, quando ancora non si conosce il colpevole, con un minimo di pigrizia in meno si sarebbe potuto giocare ampiamente con le aspettative che si creano – così come avviene nel testo originale. Il film perde invece un’altra occasione per aumentare il grado di impatto che il colpo di scena finale avrebbe potuto avere, finendo per far annegare anche la scoperta del colpevole nel disinteresse. (Ci limitiamo ad essere il più vaghi possibili ed indicare la sequenza che include il Devil Rush per evitare spoilers, ma crediamo che dopo la visione sia piuttosto chiaro a cosa ci riferiamo.).
Insomma, un film assolutamente non consigliato e che rappresenta un sonoro buco nell’acqua nonostante le premesse fossero interessanti.
Che ne pensi di questo film? Lascia un commento sotto e facci sapere se sei d’accordo o meno con quello che abbiamo scritto.
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