La redazione della storica rivista francese <<Cahiers du Cinema>> fa una scelta inedita in seguito alla cessione della rivista ad un gruppo di affaristi e produttori cinematografici.
“Il cinema sostituisce, per il nostro sguardo, un mondo maggiormente in armonia con i nostri desideri.”
André Bazin
Fondazione
Qualora vi trovasse (o vi siete già trovati) ad aprire un libro di storia del cinema, vi ritrovereste con ogni probabilità a leggere parole e citazioni come questa che avete appena letto. E molto probabilmente vi imbattereste in estratti anche di studi tecnico teorici: “È stato il montaggio a dar vita al film come arte, distanziandolo dalla mera fotografia animata, in pratica, creando un linguaggio.[1]”
Insieme a tante altre pagine, concetti e studi teorici, queste frasi che trovate qui sono estratte dal pensiero di André Bazin – uno dei critici più influenti di sempre per quel che riguarda l’arte cinematografica. Il suo pensiero è stato imponente e largamente utilizzato in ogni testo teorico riguardante il cinema che possa esser degno di essere chiamato tale. Riguardavano il cinema tout court: partendo dalla specificità del dispositivo ottico e la sua disposizione realistica, tramite Bazin, si poteva tranquillamente finire a leggere dell’astrazione del linguaggio (il suo leggendario testo su Bresson) .
André Bazin, nel corso della sua purtroppo breve vita, è stato anche il cofondatore della rivista cinematografica <<Cahiers du Cinema>> – una rivista che qualche anno dopo la fondazione è ascesa a ruolo di guida (quasi spirituale) per gli appassionati di cinema. Una delle caratteristiche che ha reso questa rivista quasi magica agli occhi di filmmakers, lettori e appassionati di cinema è stata la caratteristica propriamente libera dei discorsi intorno al cinema: si parlava di film, di gusto, di scelte estetiche mai in soggezione ad un interesse che non fosse meramente estetico. Nessuno trovava censurata la propria opinione purché non fosse soggetta al mercato e anzi volta all’impronta dell’indipendenza editoriale. Così trovarono posto articoli su filmmakers di successo americani, così come articoli su frange meno esplorate della cinematografia mondiale.
I “quaderni”
Uno dei numeri che ha lasciato una sorta di indelebile traccia nel cinema – specialmente nell’apparato teorico/critico – riguarda la politique des auteurs. Si tratta di una sorta di spartiacque della critica cinematografica. Il numero edito per l’appunto da André Bazin[2] – che trova anche un suo testo a supporto – era figlio di una lotta intestina nella redazione dei <<Cahiers>> tra lui e un gruppo di critici (I giovani turchi) partita nel 1954 con un articolo di François Truffaut e si evolveva intorno al concetto di autorialità nel cinema e nelle arti. Da un lato Bazin ed alcuni membri della redazione, dall’altro Truffaut ed altri critici illustri tra cui Jean-Luc Godard (nei Cahiers hanno scritto inoltre registi come Jacques Rivette, Éric Rohmer, Claude Chabrol – e tanti altri).
Al di là del racconto degli scontri, l’interesse della rivista era rivolto al cinema e ad ogni forma espressiva. Ogni opinione critica, per quanto irriducibile e a volte anche in contrasto col fondatore della rivista stessa, trovava spazio nelle pagine di questi quaderni. Questa costante dialettica di spinte diverse, accomunate dal contesto del cinema, fece si che questa rivista diventasse in breve tempo un punto di riferimento per i filmmakers, al punto tale da influenzare anche le scelte estetiche di alcuni di loro.
Insomma d’accordo o meno con le spinte critiche, questa rivista è a tutti gli effetti un’istituzione della storia del cinema, ed ha contribuito ai cambiamenti estetici cinematografici al pari di registi come D.W. Griffith, Buster Keaton, Charlie Chaplin, Alfred Hitchcock, Fritz Lang, Rossellini, Max Ophuls, Fellini e Stanley Kubrick [etc.]. Una rivista che ha un arco vitale che va da quando fu fondata nel 1951 ai nostri giorni, seppur in maniera turbolenta.
A.D. 2020 – Fine di un’epoca.
Il 31 Gennaio 2020, un gruppo di produttori e affaristi ha acquistato i <<Cahiers du Cinema>>. Tra i produttori si annoverano: Pascal Caucheteux (Audiard, Desplechin), Toufik Ayadi e Christophe Barral (Les Misérables), Marie Lecoq e Frédéric Jouve (i film di Rebecca Zlotowski), Marc du Pontavice (J’ai perdu mon corps), Pascal Breton (la serie Marseille); mentre tra gli affaristi si possono trovare: Grégoire Chertok (banca Rothschild), Éric Lenoir (l’arredo urbano Seri), Reginald de Guillebon (Le Film français, Première), e la «love money» di Xavier Niel (Free), Marc Simoncini (creatore di Meetic), Stéphane Courbit (Banijay, produttore di contenuti audiovisivi), Frédéric Jousset (Beaux-arts) e Alain Weill (BFM).
Come ha reagito la redazione a questa notizia? Hanno deciso, tutti insieme, di lasciare i <<Cahiers du Cinema>>, optando per la “clause de cession“, un diritto di coscienza che protegge i giornalisti durante un cambio di proprietà.[3]
I motivi vengono spiegati direttamente dal capo-redattore: “Una decisione come questa è straziante per noi e inedita nella storia della rivista. È prima di tutto una questione di principio. Rifiutiamo di lavorare sotto l’egida dei produttori perché questo rappresenta un evidente di conflitto d’interessi. Il fatto stesso che la rivista appartenga a dei produttori rende nebulosa la ricezione dei film e crea un sentimento di legittimo sospetto.”
Ciò che inoltre salta all’occhio sono le dinamiche avvenute subito dopo l’acquisizione della rivista da parte di questo gruppo. Ancora Delorme: “È stata annunciata la creazione di una rivista “chic”, “conviviale” e “ri-centrata sul cinema francese”. È superfluo dire che che i Cahiers non sono mai stati nessuno dei tre. I Cahiers si sono sempre presi gioco dello “chic” e del “toc”. Non sono mai stati una piattaforma di dibattito sullo stile “per/contro”: la salute dei Cahiers si basa sulla loro virulenza, quando si sa con assoluta certezza che la rivista è al servizio della difesa delle idee, delle passioni e delle convinzioni.[…]Ultimo messaggio allarmante: i Cahiers sono considerati come un marchio e dovrebbero quindi fare “degli eventi di altri marchi” (parlare di altri marchi).”
Nell’ultimo periodo inoltre, i Cahiers si erano fatti protagonisti di alcune prese di posizione politiche (trattamento mediatico dei gilet jaunes, il pass Culture – pilotato dal nuovo azionista Frédéric Jousset – ed altre manovre culturali francesi) legandole profondamente ad un discorso di estetica. In pratica, una sorta di forma di dissenso culturale manifestata contro il governo Macron. Dunque Delorme si chiede: “Vedere apparire i nomi di Rothschild, BFM, Niel, Simoncini pone un quesito: potremmo davvero restare liberi nei nostri movimenti?”.
“Vedremo, o meglio, vedrete, perché per noi la pagina oramai è girata, se i Cahiers, una rivista dalla storia decisamente turbulenta, vivranno una Restaurazione oppure una Rivoluzione e sbarcheranno in un nuovo mondo. Il numero di Aprile sarà, in ogni caso, il nostro ultimo.”
Stéphane Delorme, The End in <<Cahiers du Cinema>>, no.764, Marzo
Insomma una storia triste che vede un’istituzione cinematografica cadere sotto i colpi del mercato, del nuovo “modo” di intendere l’arte (intrattenimento+commercio) e che esula dalla passione, mentre abbraccia esclusivamente l’interesse economico. Una situazione che, se fosse stata in atto all’epoca di Bazin non avrebbe portato a nessuna di quelle “lotte” di passioni e opinioni, e probabilmente vedrebbe il cinema essere più povero (artisticamente, culturalmente, esteticamente) di quello che è attualmente.
Noi sappiamo da che parte stare in questa storia, voi cosa ne pensate?
[1] André Bazin, Che cosa è il cinema?
[2] La politique des auteurs in <<Cahiers du Cinema>>, no.70, Aprile 1957
[3] Stéphane Delorme, The End in <<Cahiers du Cinema>>, no.764, Marzo 2020 – trad.it. di Roberto Venditti
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