Mario Martone – Qui rido io
- Performances degli attori.
- Atmosfera.
- Messa in scena vitale.
- Una sceneggiatura non proprio precisa e perfetta.
Quindi lo consigliamo?
Sì.
La nostra opinione sul film.
Nonostante un drive narrativo che a volte sembra proseguire singhiozzando anziché tendere fortemente verso una sua evoluzione che possa sembrare naturale – e nonostante qualche discorso sul cosa sia l’arte che sembra un tantino didascalico – Qui rido io cala perfettamente lo spettatore in un’atmosfera credibilissima e a tratti anche estremamente piacevole.
Qualche momento più onirico punterella di tanto in tanto il film e ne approfonodisce alcuni tratti mostrando le crepe che ci sono sotto la maschera, così come alcune inquadrature tradiscono il gusto pittorico del regista (v. la presentazione della famiglia De Filippo con Cristiana Dell’Anna incastrata in composizioni fortemente pittoriche).
Particolarmente interessante è la scena in cui Eduardo Scarpetta (Toni Servillo) è a teatro e guarda l’opera “La figlia di Iorio” di Gabriele D’Annunzio: questa scena mette a nudo il processo creativo dell’autore teatrale e, con un montaggio vibrante, dimostra come due spettri della narrazione apparentemente distanti come il dramma e la parodia (nelle caratteristiche della farsa e del grottesco) siano in realtà molto vicini, se non addirittura sovrapponibili.
Gli attori.
Una particolare nota va data alle performances degli attori: Qui rido io è un film corale, pieno di ottime (e nella maggior parte dei casi, credibili) interpretazioni. Un rischio preso da Martone, per la caratteristica fortemente teatrale degli scambi, che paga e restituisce un livello recitativo molto alto (quasi per tutti gli interpreti). In particolare, c’è un momento in cui il tono teatrale lascia spazio alla potenza della macchina da presa e alla forza interpretativa dei suoi attori: in seguito ai disordini creati ad hoc per la messa in scena de “Il figlio di Iorio”, Scarpetta sospende la messa in scena della parodia di D’Annunzio e rientra proponendo al pubblico un suo classico di repertorio.
Al pubblico in visibilio, si contrappone un primo piano di Servillo, che rimanendo sospeso tra la risata (imposta dalla messa in scena) e il pianto (spinto dall’interno), rompe finalmente quella distanza “spettatoriale” e osservativa e rende partecipe lo spettatore (quello cinematografico) in quello che è il dramma dell’uomo Scarpetta: l’uomo che aveva fatto il funerale a Pulcinella, è diventato esso stesso prigioniero di una maschera letta con sdegno dai “nuovi” artisti che si limitano ad una lettura superficiale del suo lavoro.
Un lento divenire incompreso che Scarpetta conosce benissimo – probabilmente proprio questo è il motivo ad averlo spinto ad azzardare la parodia dell’opera di D’Annunzio – com’è vero che, simbolicamente, in uno scambio di battute molto veloce, Martone mostra come lo stesso Eduardo sia l’unico a capire che, seppur con modi e costumi differenti, il dono di Gor’kij è figlio della stima che il drammaturgo russo ha verso Scarpetta, anziché un dono portatore di malaugurio, così come erroneamente interpretato dagli altri. In fondo comprendere qualcosa è spingersi oltre le proprie superficiali (perciò piene di pregiudizi) credenze.
I De Filippo.
Nel film c’è spazio anche per gli “esordi” della famiglia De Filippo, figli mai riconosciuti da Scarpetta, e per una sorta di “riscrittura” del passato quando Eduardo De Filippo afferma di aver detto ai suoi fratelli che non si separeranno mai. Una famiglia forgiata nella “bugia” e che trova la sua libertà e la propria personale dose di verità sul palcoscenico.
Perché guardarlo?
Qui rido io è un film vitale, ma non solo per il tono energico della sua messa in scena, ma anche più sottilmente perchè fonde la vita stessa con il teatro e i sottotesti del teatro diventano i non detti della vita.
Citazione dal film
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Trailer:
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