Irving Pichel, Ernest B. Schoedsack –
THE MOST DANGEROUS GAME
– Una pellicola che nasconde un certo gusto sperimentale.
- La struttura narrativa.
- Il terzo atto e la sperimentalità cinematografica.
- L’allegoria sociale.
- Film molto breve che a tratti dà la sensazione che corre implacabilmente verso il finale, mentre a volte si avvertirebbe la necessità di un po’ di respiro per mettere a fuoco le componenti, soprattutto quelle meno manifeste.
QUALCHE PAROLA (A CALDO):
The Most Dangerous Game è un film del 1932 che si sviluppa secondo una linea narrativa piuttosto interessante e per certi versi sperimentale per il panorama culturale nel quale il film fu prodotto.
Infatti, inizia facendo credere che l’ambiente nel quale saremo confinati nel corso del film sarà quello di una nave, ma poi l’incidente scatenante (letteralmente un incidente) gli fa prendere una piega completamente diversa.
A cavallo tra il secondo e il terzo atto la scrittura (e la regia) mettono a fuoco quel carattere che definivamo per certi versi “sperimentali”: una caccia “umana” che si gioca su silenzi, fuga, movimenti, assenza di dialoghi ed un’allegoria sociale piuttosto evidente che si annida in un discorso sull’agghiacciante stato della condizione (anche psicologica) umana in un mondo (oltre oceano) il quale stava assistendo alla ormai inesorabile presa del potere nazista.
The Most Dangerous Game è un film breve (1 ora e 3 minuti) e lo consigliamo non solo per lo spaccato sociale/psicologico che offre, ma anche per un’istantanea sullo stato dell’arte cinematografica di quel periodo.
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INFO SUL FIM:
7.2
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