CHE NE PENSIAMO:
VOTO:
– Un film che ingaggia una sfida con lo spettatore a colpi di twists.
QUALCHE PAROLA (A CALDO):
Shutter Island, ovvero l’isola che serra come fanno le persiane o le serrande, trova il suo interesse narrativo nell’esplorazione dei meccanismi della paranoia e il modo in cui questi regolano l’apprendimento e il ricorso ai meccanismi di difesa.
L’isola è letteralmente un luogo simbolico che schiaccia il protagonista sotto il peso del sospetto e del dubbio: il dubbio che non vogliano lasciarti andare via, il dubbio che ci sia un esperimento in corso, il dubbio che qualcuno voglia farti credere matto per tenerti legato e chiuso oppure il dubbio ultimo che le persone vogliono farti credere di non essere chi credi.
Tutto, sempre e comunque, che sposta la verità sempre più lontano (e più irraggiungibile) dall’essere scoperta – ne esista una?
La maestria e dunque la vera pennellata d’autore sta, almeno dal punto di vista narrativo, nel tenere bene nascosta la vera svolta fino all’ultimo, nell’inondare di possibili appigli e provocare una serie di reazioni nello spettatore volte a cercare di trovare possibili conferme o meno alle nuove teorie “paranoiche” che di volta in volta vengono create. Se Jean-Pierre Melville parlava dell’autore di un film come di un paranoico, Scorsese fa di tutto per dimostrare che è lo spettatore (ed il processo spettatoriale) ad esserlo.
Fino all’ultimo twist, che in effetti poi rappresenta la scelta (in fondo tutti facciamo sempre delle scelte anche in presenza di paranoia – credere o non credere?) e non la coercizione. Una scelta che consiste nel voler impersonare una “brava persona” e morire (simbolicamente tramite lobotomia) come tale, piuttosto che continuare a vivere con la consapevolezza di essere stato “un mostro”.
Questa scelta però, per quanto noi crediamo coscientemente effettuata dal protagonista (l’ultima battuta di questo film è incredibilmente ambigua e fortemente risonante e non ci meraviglieremmo di trovare analisi alternative a questa nostra convinzione), è presente, sottilmente, nel corso di tutto il film: basta confrontare le scene “immaginate” dal personaggio di DiCaprio con le scene invece “ricordate”. Teddy fa di tutto per trovare rifugio e spiegazione nella “fantasia”, anziché nella cruda e brutale realtà (con qualche sfortunato spill).
Come ultima nota, infine, lo shutter è anche quel meccanismo del dispositivo della macchina fotografica (otturatore) che permette alla luce di entrare e ad immagini di essere impressionate (sulla pellicola) o rielaborate dal sensore (digitale).
Questo chiaramente apre la porta ad una lettura del film libera di spaziare anche in senso metariflessivo: e allora perché non credere che Scorsese, tramite la sua narrazione e la messa in scena di un “mondo migliore”, sebbene non reale, voglia consigliarci di rifugiarci (in maniera completamente paranoica) in un mondo “alternativo”, “fantastico”, “sognato” – il cinema – per riscoprirci migliori di quel che realmente siamo nella nostra vita quotidiana?
PRO:
- Bravura e maestria narrativa nel tenere i fili e giocare apertamente con lo spettatore.
- Gli attori ed i personaggi. Si tratta di un lavoro di messinscena assolutamente perfetta.
- Ad una seconda visione rivela dei piccoli indizi.
- Le sequence immaginifiche rivelano influenze che spaziano nella storia del cinema e che includono tra gli altri chiari cenni a Fellini e Kurosawa (in particolar modo quello di Dreams – nel quale Scorsese interpreta Van Gogh).
CONTRO:
- Ovviamente parliamo di un film che a noi è piaciuto particolarmente, ma la cui completa e totale originalità andrebbe probabilmente discussa.
- Per noi non è un contro, ma per qualcuno potrebbe esserlo (speriamo di no, ma bisogna essere realisti al giorno d’oggi): come molti film di questo tipo che offrono una sorta di puzzle (sebben meno estremi di alcuni casi come Lola Corre o Memento per fare due titoli al volo) questo è un film da guardare ed osservare con attenzione.
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